domenica 25 gennaio 2009

simbolismo dell'acqua

Enzo Cangialosi
LA FONTE DI VITA
ESOTERISMO E SPIRITUALITA’ del simbolismo dell’acqua attraverso i secoli


I significati legati all’acqua sono riconducibili essenzialmente a quattro temi, d’altronde strettamente connessi tra di loro e spesso inseparabili: la sorgente di vita, la purificazione, la rigenerazione e la conoscenza. Legate a questi esistono molteplici sfumature estremamente interessanti che avremo modo di analizzare.
Il primo di questi temi è quello che possiamo senza ombra di dubbio considerare universalmente presente in ogni cultura umana di ogni tempo e spazio: l’uomo, infatti, ha sempre riconosciuto nell’acqua l’elemento essenziale e indispensabile senza il quale non vi può essere alcuna forma di vita, spingendosi ad identificare in essa l’origine primigenia di tutte le cose e di tutti gli esseri, l’elemento da cui scaturì la manifestazione.
Questo aspetto è piuttosto delicato da comprendere, e può rivelarsi interessante partire dal racconto biblico per coglierne il significato. Nel Libro della Genesi si legge che “In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.” (1,1-2). In questo momento non vi sono ancora stati i sei giorni della creazione (il settimo Dio si riposò), eppure leggiamo che “lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”; invero, leggiamo anche che “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Quale dunque il senso di queste immagini (anche considerando che, nel prosieguo del racconto, si dice che il cielo viene creato il secondo giorno, e la terra il terzo)? È utile sottolineare l’aggettivo “informe” con cui viene qualificata la terra, e in parallelo l’immagine delle tenebre che ricoprivano l’abisso (anche la luce verrà creata il primo giorno), cioè abbiamo a che fare con la condizione in cui vi è l’assenza delle forme, eppure sembra esserci già una materia che appare indistinta, non è identificabile perché in effetti non ha ancora identità; questa materia è dunque la materia prima che Dio modellerà dando origine alla creazione, cioè reca in sé, o meglio costituisce, il germe della manifestazione in tutta la sua totalità. Questo germe è contenuto nelle acque primigenie, su cui aleggia lo spirito di Dio, le quali solo il secondo giorno verranno separate in acque superiori e acque inferiori dando così origine al cielo. È interessante notare come il primo atto di Dio sia la separazione della luce dalle tenebre, la qual cosa permette di poter assistere al trascorrere del primo giorno della creazione (“e fu sera e fu mattina – GN 1,3), cioè a tutti gli effetti viene creato il tempo; ne consegue che lo stato precedente, cioè delle acque primigenie in cui è contenuto il germe della manifestazione, è al di qua del tempo. Aggiungerei come la separazione della luce costituisca il primo atto necessario per procedere dall’indistinto/informe al differenziato (cioè con forma).
Ora, l’immagine biblica ha il suo perfetto corrispettivo nel simbolismo indiano dell’Uovo del Mondo (Brahamanda) che viene covato sulle acque (Prakriti) dall’oca Hamsa che rappresenta lo Spirito, il Soffio divino. Le acque, che rappresentano la totalità delle possibili manifestazioni, si separeranno poi in superiori ed inferiori, rispettivamente contenenti tutte le possibilità informali e tutte quelle formali. Analogamente nell’antico Egitto si credeva che, sotto l’azione di un demiurgo, dall’oceano primordiale (Nun) emerse un monticello sul quale apparve e si schiuse un uovo, dal quale a sua volta emerse il dio Khnum che organizzò il caos primordiale e diede origine agli esseri differenziati.
L’antica identificazione dell’acqua con la sorgente di vita appare ovviamente scontata a partire dall’esistenza reale di tutti i giorni: senza bere acqua gli esseri animali e vegetali (cioè tutti i viventi) muoiono, per non parlare dei pesci che addirittura ci vivono immersi; l’acqua che scende dal cielo sotto forma di pioggia disseta la terra favorendo la nascita di nuove piante e permettendo la sopravvivenza di quelle già esistenti, e, per quanto riguarda in particolare i pastori, di conseguenza fornendo il cibo agli animali erbivori. Potremmo in un certo senso dire che la maggior presenza dell’acqua rende la manifestazione rigogliosa, il che è appunto evidente e tangibile. Non alieno da tutto ciò, nonché dal simbolismo comogonico visto poc’anzi, va considerato l’elemento delle acque dell’utero in cui cresce e si sviluppa il feto: direi anzi che è piuttosto associabile all’idea dell’Uovo del Mondo in un’analogia macrocosmo/microcosmo. Da tutto ciò consegue l’idea generale e basilare che l’esperienza sensibile e quotidiana sia stata decisiva e fondamentale nello sviluppo del simbolismo e nella comprensione spirituale dell’esistenza umana e del suo rapporto con il mondo (inteso come piano dell’esistenza a cui apparteniamo); questa considerazione è da tenere bene presente per ogni altro aspetto legato al simbolismo dell’acqua in cui ci imbatteremo. In effetti, se partiamo da questo presupposto, possiamo accorgerci che in molti casi risulta abbastanza semplice, più di quanto non appaia a prima vista, riuscire a comprendere i veri significati dei simboli e dei miti della creazione. In tal senso, ad esempio, tornando all’immagine della pioggia che scende dal cielo, possiamo accorgerci di come sia plausibile l’idea delle acque superiori . Inoltre, è altrettanto comprensibile come ad esse e alla pioggia nello specifico venisse attribuita una polarizzazione maschile (cioè analogamente, ed ovviamente, celeste; in termini taoisti yang) data la loro natura fecondatrice.
Restando nell’ambito di questo discorso, è interessante notare come diverse esperienze sensibili conducano tutte ad esprimere i medesimi significati simbolici. Pensiamo all’idea complessiva delle acque primigenie, dell’abisso e delle tenebre: possiamo accorgerci come sia facile ritrovare questi elementi nell’immagine dell’oceano, il quale è profondo e allo stesso tempo non permette la percezione reale della propria profondità, profondità oscura in cui si muovono e dalla quale possono affiorare svariate forme di vita che, proprio per questo, paiono provenire da una misteriosa e inafferrabile origine; ma le acque, di tutti i tipi, esse stesse sono elemento senza forma definita, elemento molto particolare nella manifestazione: scorrono, si adattano, fluiscono, eppure alla loro natura informe devono la vita le forme manifeste.
Credo però che sia necessario sottolineare un punto, a partire dal fatto che bisogna ricordare sempre che i simbolismi, proprio in quanto tali, hanno la funzione di fare da tramiti tra diversi piani dell’esistenza; perciò l’immagine delle acque primordiali deve essere intesa nel suo giusto contesto, cioè stiamo parlando di qualcosa, come abbiamo visto, al di qua del tempo e della manifestazione (cioè non è né prima né dopo rispetto a come intendiamo noi questi termini), da cui ne consegue che non sia possibile ritenere queste acque della stessa natura sensibile di quelle che conosciamo noi nel nostro piano di esistenza (il nostro mondo). È altresì vero che la loro natura complessiva (o la loro essenza), se così possiamo dire, sia sì la medesima, e possiamo aggiungere che tutto ciò non esclude il fatto che in termini sensibili la manifestazione del nostro mondo, cioè la prima forma del nostro pianeta e l’origine della vita su di esso, si sia sviluppata analogamente all’immagine della creazione così come la stiamo discutendo . Potremmo dire che la natura di queste acque primordiali e di quanto ad esse annesso non sia effettivamente comprensibile tramite il nostro raziocinio, ma che proprio con l’ausilio dei simboli si possa sperare di coglierla su un piano spirituale; parallelamente, con l’espressione “di quanto ad esse annesso” si intendono elementi quali le tenebre, la luce e l’abisso, nonché il Verbo o il Suono creatore.

Legato all’aspetto dell’acqua quale fonte di vita vi è quello dell’acqua purificatrice. Anche in questo caso traspare in modo evidente il collegamento con ciò che deriva dall’esperienza sensibile in riferimento all’opera di pulizia che è in grado di compiere l’acqua ; da cui ne consegue, in modo piuttosto scontato, la trasposizione simbolica sul piano spirituale dell’azione purificatrice fisica dell’acqua: come questa purifica il corpo, è altresì in grado di purificare lo spirito.
Nel nostro contesto culturale il pensiero va immediatamente alla pratica battesimale cristiana . Ma essa non è certo l’unica nel suo genere: restando nell’ambito del ceppo giudaico-cristiano, possiamo individuare già nella tradizione ebraica un valore purificatorio attribuito all’acqua trasposto in pratiche rituali di vario tipo, cioè la ritualità purificatrice legata all’acqua è culturalmente presente nell’Ebraismo già prima dell’avvento di Gesù; ad esempio, nel descrivere come Salomone costruì il Tempio, la Bibbia riporta: “Fece anche dieci recipienti per la purificazione ponendone cinque a destra e cinque a sinistra; in essi si lavava quanto si adoperava per l’olocausto. La vasca serviva alle abluzioni dei sacerdoti.” (2CR 4,6). L’uso di tali vasche esisteva anche all’epoca del secondo Tempio, cioè ai tempi di Gesù. In un’epoca a lui più vicina rispetto a quella di Salomone, troviamo poi l’interessantissimo sviluppo religioso esseno (o della comunità di Qumrân) proprio in tema di simbolismo e pratiche rituali legate all’acqua. La pratica essena aveva addirittura un carattere quotidiano, dato che il valore della purità rivestiva per la comunità di Qumrân un’importanza centrale ed assoluta, ed essa si realizzava per mezzo di vasche in cui i membri potevano immergersi completamente . L’accesso ai rituali di purificazione costituiva a Qumrân un segno e un/o il momento di appartenenza alla comunità, e in tal senso si denotano delle forti somiglianze con la pratica battesimale cristiana. In un senso generale non si può negare che lo spirito che sta dietro ad entrambe le pratiche sia di fatto lo stesso: stiamo parlando di riti il cui carattere è purificatorio ed espiatorio. D’altronde, la pratica battesimale cristiana deriva esplicitamente da quella di Giovanni Battista, il quale cioè è antecedente all’avvento di Gesù e si colloca all’interno della religiosità ebraica . Giovanni conferiva “un battesimo di conversione per il perdono dei peccati” (MC 1,4); secondo i Vangeli, egli accoglieva folle intere ed esse “si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.” (MC 1,5). Di fatto in questo momento non si scorgono differenze alcune tra il battesimo di Giovanni e quello di Gesù (e a dir la verità anche nei pochi cenni che i Vangeli danno della predicazione del Battista non vi sono differenze con ciò che dirà poi Gesù), e in effetti si consideri ad esempio come in AT 2,38 si legge che “Pietro disse: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo.” ”; come si vede la funzione del battesimo di Gesù è tale e quale a quella del battesimo di Giovanni.
In un certo qual modo si potrebbe sottolineare come il valore purificatorio dell’acqua diviene, nei contesti fin qui visti, pienamente reale e non semplicemente fittizio, nel senso che davvero la purificazione così ottenuta apre la possibilità di elevare lo spirito ed innalzarsi verso il Regno dei Cieli (per quanto riguarda Gesù) o nei confronti del Patto di Dio (per quanto riguarda Qumrân). È altresì vero che essa da sola non è sufficiente, nel senso che, come appena detto, apre solo una possibilità; essa deve dunque essere accompagnata dalla volontà dell’uomo di non camminare nell’ostinazione del suo cuore e rinnovare la sua vita (Qumrân), o di pentirsi e di compiere la volontà del Padre mio che è nei cieli (Gesù) . D'altronde, a tal proposito rileviamo che nell’Islam la Salat, la preghiera rituale musulmana, può essere eseguita dal fedele in modo valido solo se questi ha compiuto le abluzioni rituali, le quali sono regolamentate molto minuziosamente. Si noti al riguardo la presenza molto interessante delle fontanelle nei luoghi delle moschee.
Legato all’aspetto della purificazione vi è anche quello della rigenerazione che l’acqua reca con sé. Già il battesimo che abbiamo poc’anzi visto offre quest’idea, in quanto essendo un rito che viene conferito una sola volta con lo scopo di lavare i peccati, rigenera letteralmente l’individuo che muore al suo vecchio stato per rinascere a quello di uomo nuovo. Questo significato si apre a tutta un’altra prospettiva estremamente interessante, cioè quella del doppio aspetto benefico e distruttore dell’acqua. In effetti, potremmo dire che come essa genera la vita, o la rigenera mediante purificazione, può essere anche fonte di morte di uno stato vecchio in favore di uno nuovo. In tal senso l’immagine simbolica più significativa è certamente quella del diluvio, che letteralmente distrugge il vecchio mondo per farne rinascere (rigenerare) uno nuovo. Il racconto biblico di Noè ci mostra in fondo il ritorno all’indifferenziato nelle acque che scendono dal cielo (le acque superiori) e ricoprono tutto ciò che già si era manifestato unendosi a fiumi e mari (le acque inferiori), riportando così lo stato del mondo alla condizione primordiale delle acque primigenie. L’arca di Noè è perciò l’equivalente dell’uovo del mondo, in quanto racchiude in sé i germi della futura manifestazione che potrà ripartire quando le acque cominceranno a ritirarsi (cioè in fondo quando nuovamente si separeranno). Ma il simbolismo del diluvio e dell’arca non è esclusivo dell’Ebraismo: basti rilevare il fatto che la vicenda di Noè deriva dal racconto assiro-babilonese dell’epopea di Gilgamesh in cui è incorporata la storia di Utnapishtim, la quale a sua volta si presenta come una redazione dell’ancor più antico mito sumero (precedente al II millennio a.C.) del quale è protagonista il re/sacerdote Ziusudra . Analogamente troviamo nell’Induismo il racconto di Vishnu che ordina a Satyavrata, il futuro Manu Vaivaswata , di costruire l’arca in cui saranno rinchiusi i germi del mondo futuro. Vishnu si manifesta sotto forma di pesce, e sempre sotto questa forma guiderà l’arca durante il cataclisma che segna la separazione di due Manvantara (cicli cosmici) successivi . È estremamente interessante compiere alcune osservazioni proprio riguardo al simbolismo del pesce, il quale appare ovviamente connesso direttamente con quello dell’acqua. Esso è universalmente interpretato come salvatore e rivelatore, e questo non solo ha delle evidenti connessioni con quanto appena visto a proposito di Vishnu e il Manu Vaivaswata, ma ovviamente anche con la figura di Gesù Cristo . Il Cristianesimo ha da sempre rappresentato Gesù come un pescatore e i cristiani come dei pesci (la stessa Chiesa primitiva lo assunse come proprio simbolo); ciò ha delle connessioni con il battesimo nell’elemento dell’acqua: secondo Tertulliano nel suo Trattato del Battesimo, il cristiano che rinasce nell’acqua battesimale è paragonabile ad un pesciolino ad immagine del Cristo. In effetti lo stesso Gesù ha come simbolo il pesce: ciò è provato dalle innumerevoli figurazioni simboliche negli antichi monumenti cristiani, in particolare funerari, e nelle catacombe. Molto affascinante è il fatto che la parola greca per pesce è “ichthys”, ed è stata sempre utilizzata come ideogramma cristiano considerando le sue cinque lettere greche come iniziali di altrettante parole che sono: Iesus Christos Theu Hyios Sôter, cioè Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Tutto ciò induce ad interpretare in chiave simbolica e non letterale la descrizione degli apostoli come pescatori. A questo proposito, credo sia possibile recuperare l’origine ebraica da cui si generò il loro utilizzo nell’ambito della dottrina di Gesù, e cioè il Libro di Ezechiele. In particolare, facendo riferimento a EZ 47,1-12, il profeta descrive, all’interno di una visione complessiva della Gerusalemme celeste, un fiume che scaturisce da sotto la soglia orientale del Tempio. Ed ecco cosa dice, tra l’altro: “Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il fiume, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché quelle acque dove giungono, risanano e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà. Sulle rive vi saranno pescatori: da Engaddi a En-Eglaim vi sarà una distesa di reti. I pesci, secondo le loro specie, saranno abbondanti come i pesci del Mar Mediterraneo.” (EZ 47,9-10).
Il fiume di Ezechiele è analogo alle “acque vive” di Gesù, simbolismo che esamineremo tra poco; di conseguenza è abbastanza semplice individuare nella visione dei pescatori e dei pesci del profeta non solo dei contenuti simbolici, ma, come appunto precedentemente detto, anche la matrice dei corrispettivi evangelici che vanno così a riempirsi di valenze esoteriche. L’accenno alle acque vive di Gesù ci offre lo spunto per affrontare il quarto aspetto generale del simbolismo dell’acqua: quello della conoscenza.

La matrice dell’aspetto dell’acqua legato alla conoscenza è probabilmente da ricercare innanzitutto sempre nell’immagine delle acque primordiali: in quanto contenenti i germi della manifestazione, esse recano in sé già ogni cosa in potenza, che è analogo ad affermare che possiedono la conoscenza di ogni forma che si manifesterà. L’ordine divino, o – se vogliamo non dipendere necessariamente dall’impostazione basata su un dio all’origine di tutto – il disegno cosmico, è per l’appunto già impostato e presente nello stato delle acque primordiali, e in esse contenuto. A tal proposito, possiamo ricollegarci in modo molto pertinente a quanto visto su Vishnu e il diluvio. Abbiamo già menzionato il suo ruolo di rivelatore proprio in relazione all’annunciare a Satyavrata quanto sta per accadere. Ma c’è molto di più: alla fine del cataclisma, Vishnu dona agli uomini il Veda che bisogna intendere, secondo il significato etimologico della parola (derivata dalla radice
vid, “sapere”) come la Scienza per eccellenza o la Conoscenza sacra . Il Veda sussiste perpetuamente, ma tra un ciclo e l’altro è come nascosto, perciò deve essere nuovamente manifestato all’inizio di ogni nuovo ciclo. In relazione col il diluvio di cui stiamo parlando, è oltremodo interessante vedere come il Veda fosse avviluppato nella conchiglia (shanka) che costituisce uno dei principali attributi di Vishnu. Si ritiene che essa contenga il suono primordiale e imperituro, il monosillabo Om, che è per eccellenza il nome del Verbo manifestato nei tre mondi e contemporaneamente l’essenza del triplice Veda .
Parallelamente a tutto ciò, in quanto più genericamente fonte di vita, l’acqua non può non divenire anche fonte delle acque vive che nutrono e alimentano lo spirito. Alcune considerazioni fatte a proposito del battesimo che dona lo stato di uomo nuovo s’inseriscono pienamente in questo discorso. Se l’acqua ha il potere di far morire un vecchio ciclo (sia esso personale o cosmico) e rigenerarne uno nuovo, è evidente che sul piano spirituale ciò equivale ad affermare che l’individuo si eleva lungo il percorso dell’evoluzione dei piani dell’esistenza, la qual cosa non può ovviamente che avvenire tramite una parallela e crescente acquisizione di conoscenza interiore dell’ordine cosmico. Insomma, come l’acqua dona e alimenta la vita del corpo, analogamente dona e alimenta quella dello spirito .
Nei Vangeli troviamo pienamente espresso il simbolismo delle acque vive quali fonte di conoscenza. In particolare possiamo servirci di GV 4,1-42 per approfondire questo tema, la maggior parte del quale è proprio incentrata sul simbolismo dell’acqua. L’episodio di questo brano presenta Gesù che, stanco da un viaggio, si ferma a riposare presso il pozzo di Giacobbe nelle vicinanze di Sicar (presso l’antica Sichem) in terra di Samaria; giunta una donna per attingere acqua dal pozzo, egli le parla e le rivela di essere il messia. In questo dialogo Gesù afferma di poterle dare “acqua viva” (GV 4,10), presentata come “il dono di Dio” (GV 4,10); e precisa: “Chiunque beve di quest’acqua [quella del pozzo] avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna.” (GV 4,13-14). È chiaro che Gesù allude ad una conoscenza spirituale superiore, perché conoscenza di Dio, ed è eterna perché viene da Dio (“dono di Dio”) e Dio è eterno, e perché il suo frutto non può che essere la vita eterna presso Dio. L’intero episodio si svolge nei pressi del pozzo di Giacobbe che diviene così il pretesto simbolico dell’intero brano, per cui, anche se non viene detto esplicitamente, è chiaro che le acque vive di Gesù vengono attinte da un altro pozzo diverso dal primo. Nel prosieguo del discorso Gesù afferma che “Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità.” (GV 4,24), per i quali “è giunto il momento, ed è questo” (GV 4,23). Acqua, spirito, conoscenza e verità risultano così strettamente correlati.
Un simbolismo analogo lo troviamo anche nei manoscritti di Qumrân e in maniera molto copiosa. Tanto per cominciare possiamo fare riferimento ad un passo della Regola della comunità già riportato nella nota 5 il quale recita: “dallo spirito santo della comunità, dalla sua verità, è purificato da tutte le sue iniquità (…) nell’umiltà della sua anima verso tutti gli statuti di Dio è purificata la sua carne, aspersa con acque lustrali e santificata con acque pure.” (1QS, III,7-9). L’elemento in questo caso interessante per il nostro tema specifico è il parallelismo tra la verità che purifica “tutte le sue iniquità” e le acque pure che santificano “la sua carne”, il che conferma esattamente quanto stiamo analizzando sul connubio simbolico tra acqua e conoscenza. D’altronde, è altresì ovvio che non si sta parlando di acque vere ma spirituali. Ciononostante, si può qui intuire la base ideale e spirituale della pratica delle purificazioni rituali mediante immersione di cui abbiamo già parlato, e che anche nell’intero passo sopraccitato è presente. Nel corpus qumranico il simbolismo dell’acqua è davvero abbondante; vi è un inno estremamente indicativo in proposito, in cui tra l’altro s’intrecciano altri simbolismi quali “gli alberi della vita” e “la piantagione eterna” che non è il caso di approfondire in questa sede (ci porterebbero troppo lontano). Mi limito a dire che quest’ultima si riferisce alla comunità stessa. Ecco cosa si può leggere in quest’inno: “Perché si è visto ma non si è riconosciuto, si è considerato ma non si è creduto alla fonte di vita, al ruscello che zampilla eternamente (…) Ma tu, mio Dio, hai posto nella mia bocca come una pioggia autunnale per tutti gli assetati e come una fonte di acque vive che non mentirà mai, per aprire i cieli (…) zampilleranno improvvisamente dopo essere state nascoste nel segreto” (1QH, VIII,13-18).
Emerge qui un interessantissimo immaginario dall’acqua che si esprime in modo vario e complesso, in cui si rimanda direttamente a Dio ed alla conoscenza. In particolare si notino espressioni come “fonte di vita”, “fonte di acque vive”, “ruscello che zampilla eternamente”. E’ molto interessante il collegamento con la terminologia della “lingua” che si ha nell’immagine della “fonte di acque vive” che Dio pone nella bocca del giusto, e che si dice “non mentirà mai”. Questo richiamo alla verità ed alla conoscenza ha un’analoga espressione nella “pioggia autunnale per tutti gli assetati”, dove ovviamente questi rappresentano coloro che ricercano Dio. Identica espressione ritroviamo in un altro passo in cui si parla di “interpreti d’inganno e veggenti di menzogna (…) [che] permutando la tua legge, che hai scolpito nel mio cuore, con le parole seduttrici per il tuo popolo: hanno trattenuto dagli assetati la bevanda della conoscenza” (1QH, IV,9-11).
In questo connubio tra il simbolismo dell’acqua e quello della lingua (che rappresenta in fondo un aspetto particolare del legame tra il primo e la conoscenza) è evidente che ancora una volta bisogna risalire al mito della creazione nell’elemento della parola creatrice che differenzia i germi contenuti nelle acque primordiali. A questo proposito è piuttosto interessante analizzare il pensiero dei Dogon e dei loro vicini Bambara, per i quali l’acqua non è solo germe divino ma anche la luce, la parola, il verbo generatore che si materializza nella spirale di rame . Peraltro acqua e parola si fanno atto e manifestazione, che comporta la creazione del mondo solo sotto forma di parola umida, a cui si oppone una metà gemella rimasta fuori dal ciclo della vita nella manifestazione chiamata acqua secca e parola secca. Il dio supremo celeste Am creò il suo doppio Nommo, dio d’acqua umida, principio guida della vita nella manifestazione, ma trattenne le acque secche nei cieli superiori al di là dei confini che diede all’universo. Queste acque secche rappresentano perciò la parola non espressa, il pensiero, sono potenzialità privata della capacità di generare. Nel microcosmo umano la parola secca è rappresentata dal pensiero della prima parola che fu rubata dal genio Yurugu ad Am prima che apparissero gli uomini: essa è dunque la parola di cui questi non sono padroni, cioè la parola indifferenziata che ha a che fare con l’inconscio e col sogno. Di contro Yurugu, essendone lui sì divenuto il padrone, possiede invece la chiave dell’invisibile e dell’avvenire, ed è per questo che il più importante sistema divinatorio dei Dogon è basato su domande rivolte allo sciacallo considerato rappresentazione di Yurugu.
Infine meritano una menzione anche i Mandei, una setta dell’Irak meridionale, i quali ci offrono un altro esempio molto interessante non solo riguardo al tema della conoscenza, ma anche per l’ennesima volta su quanto in realtà i diversi aspetti del simbolismo dell’acqua siano intimamente connessi e difficilmente separabili. Essi si ritengono eredi dell'insegnamento di Y_h_n_ Yahy_, cioè il Giovanni Battista dei cristiani, e l’origine del loro nome deriva dal termine aramaico “manda”, che significa “conoscenza segreta”. In quanto eredi di Giovanni, non ci può stupire scoprire che nella loro religiosità le pratiche battesimali e purificatrici svolgono un ruolo assolutamente centrale. I Mandei concepiscono una divinità suprema, il Mana (“Vita”), da cui dipendono Luce e Tenebre; il mondo delle Tenebre è un’emanazione di Ruha , spirito decaduto che si oppone alla Luce. Da Ur figlio di Ruha sono nati i sette pianeti , i dodici segni dello zodiaco, draghi e demoni, mentre Mana ha generato gli esseri angelici (“m’uthra”) che, unendosi alle Tenebre, hanno dato vita ad Adamo ed Eva.
La discendenza di costoro è così formata da un’anima luminosa contenuta in un corpo tenebroso; la Luce, al fine di far tornare le anime degli uomini in paradiso, ha inviato sulla terra Manda d’Haiyê (“conoscenza della Verità”), il quale ha istruito i credenti per renderli in grado di liberarle (anche il rito funerario ha lo scopo di aiutare il morto a salire verso la Luce). Giovanni Battista viene venerato come colui che ha battezzato proprio Manda d’Haiyê, il salvatore, e come colui che ha istituito la pratica battesimale, che costituisce il rito più importante dei Mandei, e che viene praticato nel nome di Manda d’Haiyê; esistono due tipi di battesimo: oltre alle abluzioni quotidiane, durante le quali l’affiliato si immerge in acqua corrente, detta “il Giordano”, vi è anche un rituale solenne detto “masboth_” che solitamente viene praticato nelle feste principali; dopodiché l’adepto riceve l’unzione di “Olio della Luce”, ed infine partecipa alla mensa comunitaria (“masiqt_”) a base di pane azzimo consacrato e vino misto acqua, che equivale ad un’anticipazione del banchetto escatologico e che reca con sé un valore di perdono dei peccati e di suffragio per le anime dei morti.
Quest’ultimo accenno al vino misto ad acqua richiama, nell’ambito taoista, il significato di misura attribuito a quest’ultima, proprio perché ad un vino troppo forte bisogna aggiungere acqua, anche se si tratta del vino della conoscenza. Per Lao Tze l’acqua è simbolo della virtù suprema (Tao-Te Ching, 8), ma è anche simbolo della saggezza perché è pienamente libera e senza costrizioni, e si lascia scorrere seguendo le pendenze del terreno.

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