domenica 23 settembre 2018

cenni sul massaggio tailandese

Cenni storici sul massaggio Tailandese

Non esiste, o non è mai stata trovata, alcuna documentazione scritta che ne attesti una ben precisa collocazione temporale, ma solamente qualche reperto sopravvissuto ai secoli e una tradizione orale antichissima, ma molto nutrita, fanno risalire le origini del massaggio thai a circa 2500 anni fà.

Le origini di quest’arte sono quindi piuttosto oscure, la tradizione è stata tramandata nei secoli oralmente, da maestro a discepolo, fino ad arrivare ai giorni nostri.

La storia Tailandese è un unione di diverse culture ed influenze, tanti gruppi etnici di cui i principali sono: Tai, Khmer, Mon e Lowa.
Per parecchi secoli la Tailandia è stata largamente influenzata dalla Cina e dall'India. L'influenza indiana si può riconoscere nel linguaggio, nella letteratura e nella religione, mentre quella cinese nel cibo, nell'arte, nella architettura e nella medicina.

Le prime notizie documentate sulla medicina tradizionale cinese (MTC), la cui influenza è abbastanza evidente nel massaggio thai, risalgono a circa 5000 anni fa , ma le sua storia si perde in un passato remoto e sconosciuto.

Di ancora più difficile interpretazione sono le origini dello Yoga, che si è sviluppato parallelamente alla civiltà indù, ma sembra affondare le sue radici nel Tantrismo Shivaita e in altre antiche e misteriose civiltà.

Rimane comunque il Buddismo il contatto più diretto tra queste tre culture, importato in Tailandia nel III secolo A.C. su volere del Re Indiano Ashoka che mandò monaci per propagare le tecniche del Budda e per costruire templi a Lui dedicati.

Sona e Uttara dei primi due missionari mandati a predicare il Buddismo in Suvarnabhumi, la Terra dell’Oro, Si ritiene che la Terra dell’Oro sia l’attuale zona di Nakorn Pathom, circa 60 Km ad ovest di Bangkok, in Thailandia, luogo della più antica Pagoda Thailandese, tutt’ora la più alta al mondo.
I monaci indiani infatti erano esperti nell’arte del massaggio, praticata per curare indisposizioni come:
mal di testa e di collo
febbre
dolori alla schiena
tensione muscolare e nervosa
stress.
L’uso del massaggio, per i suoi benefici, divenne popolare e si diffuse, di villaggio in villaggio, in tutta la regione. È per questo che le radici del Massaggio Thailandese sono strettamente legate alla religione e alla teoria yoga indiana dell’energia.

Ancora oggi è considerato il padre fondatore del Massaggio Thailandese Shivago Komarpaj.

Il dottor Shivago Komarpaj o Jivaka Kumar Bhacca, fu contemporaneo e medico personale del Buddha presso la corte di Bimbisara re di Magadha.
Si basò sulle tradizioni mediche provenienti soprattutto dall'India, con la tecnica Ayurvedica e la tradizione Yoga, ma anche dalla Cina, dal Sud-est asiatico, dalla medicina popolare, dalle pratiche sciamaniche, e diede vita ad un percorso culturale che ha avuto grande importanza all'interno della società e del culto thailandese.

La grandezza di Jivaka come medico era leggendaria, lo stesso Budda lo proclamò in pubblico come Re dei Medici per ben tre volte. Egli era un esperto di pediatria e un ottimo chirurgo.

L'influenza della medicina indiana si evince, oltre che dalla provenienza di Shivago Kumar Baj, da strette connessioni che sono ancora ben visibili oggi e si notano dalle posture derivanti dallo Yoga, dalle molte parole usate in Sasnkrit e Pali e dai forti legami spirituali presenti.
Infatti spesso il massaggio inizia con una preghiera degli operatori legati alla tradizione, in lingua Pali chiamata Wai Khru, a Jivaka per celebrare e onorare la sua memoria in segno di rispetto per il suo lavoro, con la volonta di chiedere aiuto nell'aiutare la persona a guarire,

Anche dall'etimologia di molti termini:

Sen Sumana - Sushumna nadi (sanscrito),
Sen Ittha - Ida nadi (sanscrito),
Sen Pingkhla - Pingala nadi (sanscrito).

La relazione tra Buddismo e massaggio è molto stretta in Tailandia. Fino a tempi abbastanza recenti, il massaggio non era considerato un lavoro, ma era semplicemente l’applicazione pratica del "Metta", termine pali e thailandese usato per indicare "gentilezza amorevole".

Le citazioni dal "Pali Canon", importante testo del Buddismo Theravada, sono i rari riferimenti scritti giunti fino a noi, relativi a questa mitica figura di Shivago e al Massaggio Thailandese.

Il massaggio thai era insegnato e praticato nei templi.

La teoria del massaggio Tai è stata tramandata oralmente da maestro ad allievo per molto tempo, fino a quando è stata scritta su foglie di palma in linguaggio Pali usando scrittura Khmer. Questi scritti sono stati venerati per molto tempo.

Dopo l'invasione Burmese del 1776, la allora capitale Ayuttaya, fu completamente distrutta e data alle fiamme e con lei tutto il patrimonio culturale storico, letterario, medico, e scientifico.
Ben poco si riuscì a portare in salvo soprattutto per quanto attiene ai testi relativi alla tradizione e alla cultura della antica medicina tailandese. In questa sono da comprendere anche le tecniche del massaggio nato oltre 2400 anni prima del dannoso evento.
Ne rimane una piccola parte che nel 1832, sotto il regno di Rama III (1824-51), venne ordinato da parte del re di reperire e raccogliere insieme tutto il materiale possibile sparso sull’intero territorio del vecchio Siam.

Egli favorì oltre allo studio di questo materiale anche la creazione di 60 lastre in pietra con la figura umana incisa, 30 anteriormente e 30 posteriormente. Su queste figure i punti terapeutici venivano individuati su linee energetiche che corrono su tutto il corpo chiamate Sen.
Queste lastre furono poi applicate, con spiegazioni annesse, sulle pareti del tempio Phra Chetaphon più conosciuto come Wat Po a Bangkok, il primo centro di educazione pubblica sul massaggio, avviando così la costituzione della prima università di medicina, farmacopea e massaggio tailandese.

Il Tempio fu fondato nel XVI secolo durante il periodo di Ayutthaya, divenne il centro del sapere e dell’arte Thailandese, con le sue statue ascetiche, le iscrizioni, i disegni e gli affreschi sul massaggio; il luogo dove tutta la saggezza sulla Medicina Tradizionale e il Massaggio fu raccolta e conservata.
Ma la vera “occasione” arriva nel 1906 con Re Rama V, ricordato ancor oggi come “Il Grande”.
Infatti, fu grazie ad un suo decreto reale che venne data disposizione di riprendere le ricerche per il rinvenimento su scala nazionale di tutti i testi o informazioni riguardanti la medicina tradizionale, lo yoga ed il massaggio tailandese. E fu sempre con regio decreto che lo stesso Re ordinò che fossero tradotte tutte le antiche scienze medicali dai vari dialetti e antichi linguaggi all’attuale lingua thai.
Il lavoro, compiuto tutto a mano per lo più dai monaci buddisti e da esperti di corte, diede vita al “Royal Medical Text Book”, conosciuto anche come “Tum-Ra-Pade-Sard-Songkroah".
Oltre che l’ Antica Medicina Thai, questo trattato include le linee, i punti chiamati Tum-Ra-Nuad-Chabub-Luang (Terapia con la mano) e le varie procedure del “Thai Massage” (Massaggio Tailandese).
nel XIX secolo la Thailandia entra in contatto con la medicina allopatica portata dai missionari occidentali; nel 1888 viene fondato il Siriraj Hospital a Bangkok che utilizzava sia la medicina sia la medicina allopatica che quella tradizionale; nel 1913 viene separata la medicina tradizionale da quella allopatica; nel 1929 una legge classificava i professionisti e gli operatori, incrementando il solco fra le due medicine.
Nel 1953, come risultato di un lungo e meticoloso lavoro, durante il quale vennero ulteriormente riesaminate tutte le documentazioni storiche confrontate con le pratiche mediche esistenti, venne costituita, la prima scuola di medicina Tradizionale Tailandese, sotto l’approvazione del Ministero dell’Educazione Thailandese.
Ed e’ nel 1962, sotto il regno dell’attuale monarca, Re Rama IX, che veniva istituito il primo corso di Massaggio Tradizionale Tailandese a Bangkok presso il tempio del Wat Po, essendo già il centro della Medicina Thailandese.
In concomitanza veniva istituita a Chiang Mai, presso l’Old Medical Hospital, la scuola della fondazione del Dr. Shivagakomarpaj.
Il 24/03/1993 viene fondato il National Institute of Thai Traditional Medicine con l'obiettivo di facilitare l'integrazione della medicina tradizionale nel servizio di salute pubblica.
Nel 1997 viene varato l'ottavo “Piano di Sviluppo per la Salute Pubblica” che prevede l'incremento della medicina tradizionale, dell'erboristeria e del M.T..
Il 19/11/1999 il re Bhumibol Adulyadej (Rama IX) emana l'atto “The Protection and Promotion of Traditional Thai Medicine Wisdom Act"; nel 2000 la medicina tradizionale è stata integrata nelle strutture di 1120 centri sanitari.
Solo nei primissimi anni novanta si promulgava la cultura del massaggio al di fuori del confine nazionale del Siam, mediante corsi di massaggio per stranieri. Da allora, in poco più di quindici anni, sono state autorizzate dal governo almeno quindici strutture idonee alla divulgazione delle tecniche del massaggio; sono distribuite su tutto il territorio nazionale.

Il massaggio

Il massaggio tailandese e' una combinazione della yoga indiana, dell'agopressura cinese, della kiropratica e del massaggio giapponese shiathsu.


Sempre più persone apprezzano questo tipo di massaggio oltre che per la sua armoniosa tecnica anche per i grandi benefici non solo a livello fisico, ma anche emotivo ed energetico.

Il Massaggio Thailandese consiste essenzialmente in una digitopressione di dieci linee energetiche chiamate dai Thai linee Sen.
Secondo questa teoria le linee Sen sono composte di un flusso di punti che portano l’impulso elettrico, la corrente della forza vitale, ai Chakras.
I Chakras sono come ruote di un mulino che girano e spingono l’energia in tutto il corpo.
L’obiettivo del Massaggio Thailandese è quindi quello di far scorrere liberamente l’energia nel corpo attraverso tecniche di pressione che liberino le linee Sen da eventuali blocchi, come una corrente da un ostacolo.
Tra gli effetti del Massaggio Thailandese c’è anche un’azione riflessa che beneficia gli organi corrispondenti ai punti trattati; servendosi di movimenti di stretching derivati dallo yoga e di tecniche di pressione, agisce sui muscoli, tendini e tessuti profondi.
Nel Massaggio Thailandese, che è sempre praticato per terra, su un materassino, indossando indumenti comodi come un pigiama (non si adoperano difatti oli.
Vi sono due stili fondamentali di M.T.:
lo stile di corte (Rachasamnak)
lo stile popolare (Chaleeysak)

Lo stile popolare prevede cinque posizioni rigidamente codificate:

1) supina
2) fianco destro
3) fianco sinistro
4) prona
5) seduta

lo stile di corte non prevede la posizione prona.

Nell'esecuzione del M.T. il massaggiatore utilizza diverse parti del suo corpo:
mani, pollici e rimanenti dita,
palmi,
gomiti,
avambracci,
piedi,
talloni,
ginocchia,…
ed effettua varie “manipolazioni” (compressioni, estensioni, torsioni, stiramenti, impastamenti, dare colpetti sulla schiena a mani giunte, scuotere, schioccare, sollevare, tenere fermi il corpo e gli arti del massaggiato con le mani, i piedi e le ginocchia del massaggiatore, "camminare" con i talloni e l'incavo dei piedi sulla schiena del massaggiato, …) e posizioni che richiamano le asanas dello Hatha Yoga (Ekapada Uttanapada Asana, Hala Asana, Karna Peeda Asana, Baddha Asana, Kona Asana,  Shalaba Asana, Bhujanga Asana, Sukha  Asana,….)


I benefici del massaggio sono:
rilassamento
senso di sollievo da fatica e dolore muscolare
guadagno di mobilità muscolare e articolare
diminuzione della tensione
miglioramento del sistema di circolazione sanguigno e linfatico
miglioramento dell’umore
aumento di energia
crea un equilibrio tra l'energia del corpo, della mente e dello spirito.

Il M.T. si fonda sul concetto che il corpo è solcato da canali, la medicina indiana ritiene che ce ne siano oltre 70.000, denominati sen (nadi in sanscrito), attraversati dall'energia vitale  prana.
Quando il prana non circola adeguatamente nelle sen si va incontro a disagi che possono degenerare in stati patologici. Scopo del M.T. è ripristinare la corretta circolazione dell'energia.
dieci sen sono di primaria importanza;
1) Sumana
2) Ittha
3) Pingkala
4) Kalathari
5) Sahatsarangsi
6) Thawari
7) Lawasang
8) Ulangka
9) Nanthakrawat
10) Khitchanna
Invisibili e non verificabili dagli strumenti scientifici attuali, le  sen costituiscono un secondo corpo, il Prana-maya Kosha in sanscrito, ovvero corpo energetico, strettamente intrecciato con il corpo fisico, Anna-maya Kosha, il solo corpo di cui si abbia esperienza sensoriale.
La medicina indiana, da cui il M.T. deriva, classifica cinque corpi; oltre ai succitati,
il Mana-maya Kosha, corpo mentale,
il Vijnana-maya Kosha, corpo emozionale e
l'Ananda-maya Kosha, corpo della coscienza cosmica;
il M.T. lavora sul secondo corpo ed ha benefici effetti anche sugli altri.
Il concetto dei canali energetici che solcano il corpo è comune a diverse culture asiatiche (thai - sen, sanscrito - nadi, cinese 經絡 -  jīngluò, giapponese - tsobus); così come il concetto dell'energia vitale  prana è comune a culture sia asiatiche che europee (sanscrito prana, cinese qi, coreano gi, giapponese ki, greco πνεῦμα (pneuma), latino spiritus, ebraico ruach,…); quindi, da questi dati, è impossibile tracciare un rapporto di derivazione storica tra una cultura e l'altra.
Tecnica
Colui che riceve il M.T. giace su un materassino non troppo soffice sul pavimento; indossa abiti comodi che consentano ampi movimenti; può essere da solo oppure con altri pazienti in un'ampia stanza (come accade usualmente negli ospedali). Prima di iniziare, il massaggiatore recita a mani giunte la seguente preghiera : “Om Namo Shivago Kumar Baj Puchaya”, cioè “Rispetto il compassionevole Shivago Kumar Baj con una buona condotta
Altre denominazioni
Il M.T. è denominato anche in altri modi:
massaggio tradizionale thailandese,
massaggio classico thailandese,
antico massaggio siamese,
massaggio tradizionale terapeutico,
massaggio medico,
massaggio stile Rachasamnak (stile della corte),
massaggio stile Chaleeysak (stile popolare),
massaggio thailandese del Nord (insegnato a Chiang Mai),
massaggio thailandese del Sud (insegnato presso il tempio Wat Po di Bangkok),
massaggio yoga,
yoga thailandese,
yoga per gente pigra,
yoga passivo,
yoga assistito

Diffusione
In Thailandia il M.T. è considerato una branca della Medicina Tradizionale Thailandese; è riconosciuto e regolamentato dal governo ed insegnato presso istituzioni pubbliche e private; è altresì insegnato e praticato da personale “non-medico” nei centri benessere, spa, alberghi, villaggi turistici, industria del turismo. In Europa e negli U.S.A. un crescente numero di insegnanti e praticanti sono emersi fin dagli anni novanta. In Italia, l'interesse verso il M.T. è maturato ancora più tardi.
Bibliografia
• Asokananda (Harald BRUST): Il massaggio thailandese. Stile del Nord.Edizioni Mediterranee, Roma, 1993.
• Asokananda (Harald BRUST): Die Kunst traditioneller Thai-Massage. Bangkok, 1993 • Asokananda (Harald BRUST): L'art du massage traditionnel. Editions Duang Kamol, Bangkok, 1996
• Asokananda (Harald BRUST): The art of traditional Thai massage (I e II part). Edition Duang Kamol, Bangkok
• Kam Thye Chow: Thai-Yoga-Massage. Baden und München, 2005
• Maneewan Chia & Max Chia: Nuad Thai “Traditional Thai Massage”
• Möller, Hubert; Patanant, Montien: Lehrbuch der traditionellen Thai-Massagetherapie. München Jena, 2007
• C. Pierce Salguero: Traditional Thai Medicine: Buddhism, Animism, Ayurveda, Prescott, AZ: Hohm Press, 2007
• C. Pierce Salguero: The Encyclopedia of Thai Massage: Student Workbook, Forres, Scotland: Findhorn Press, 2007
• C. Pierce Salguero: The Spiritual Medicine of Traditional Thailand, Forres, Scotland: Findhorn Press, 2006
• C. Pierce Salguero: The Encyclopedia of Thai Massage: A Complete Guide to Traditional Thai Massage Therapy and Acupressure, Forres, Scotland: Findhorn Press, 2004
• C. Pierce Salguero: A Thai Herbal: Traditional Recipes for Health & Harmony, Forres, Scotland:Findhorn Press, 2003
• Sombat Tapanya: Il massaggio tradizionale thailandese. Xenia Edizioni, Milano, 1993. Stile del Wat Pho

lunedì 17 settembre 2012

7° Festival Natura della Gallura







7° Festival Natura della Gallura
A.S.CU.NA.S. Onlus
Associazione per gli Studi Culturali e Naturalistici della Sardegna, Telti


“Loro della Sardegna”
Il percorso del filo

La metafora del filo risulta il tema più antico trattato sulla natura dell’universo e la creazione della vita sul nostro pianeta ed è per questo che merita essere oggetto dell’ultimo festival di questa serie sulla Natura della Gallura.
Il filo unisce, rafforza, determina la continuità, l’importanza della relazione,  simboleggia l’amore per tutto ciò che ci circonda e se tutto è collegato, si introduce l’intenzione del lavoro che ci impegnerà in futuro: quello di conoscere e preservare i Maestri ancora in vita di tutta la Sardegna.

Come eventi rappresentativi per la valorizzazione della cultura naturalistica in Gallura l’A.S.CU.NA.S. di Telti per l’anno 2012 ha scelto:


AGGIUS

23 settembre      Chiesa di S. Pietro di Ruda, Valle della Luna


Laboratorio L’Albero Padre
Passeggiata per la raccolta delle erbe tintorie                                                   

Gabriella Lutzu, esperta del Laboratorio di tessitura di Aggius “L’Albero Padre”, ha organizzato una passeggiata svoltasi nella mattinata, che esplora buona parte della Valle della Luna, passando anche per il nuraghe Izzana, e offre la possibilità di raccogliere le erbe tintorie utilizzate nella lezione di tintura naturale del pomeriggio.

















Gabriella Lutzu nel suo laboratorio produce opere di sua fantasia utilizzando i colori da lei ottenuti col metodo a caldo, con aggiunta di componenti chimici per la mordenzatura del filato usato, riproposto nel pomeriggio nel laboratorio di tintura con piante tintorie.

Il filo delle arti e mestieri, a sinistra nel manifesto, è di lino ed è stato filato dalla signora Assuntina Arceri, che ci ha lasciato nel secolo scorso insieme con la filatura del lino.

Lezione aperta del Corso di Botanica (A.S.CU.NA.S. Onlus):  
laboratorio di tintura naturale
a cura di Gabriella Lutzu (MEOC, Aggius) e Francesco Cassitta (A.S.CU.NA.S. Onlus, Telti)

Al termine della passeggiata si apre il contorno verdeggiante della chiesa campestre di S. Pietro di Ruda ed i prati si offrono come luogo di sosta accogliente prima del pranzo, dopo il quale si tiene la lezione aperta di tintura naturale del Corso di Botanica organizzato durante l’anno dall’A.S.CU.NA.S. Onlus di Telti.
Ricette ed accorgimenti dall’esperienza di Gabriella Lutzu, collaboratrice del Museo MEOC di Aggius, e del Dott. Francesco Cassitta di Telti, vengono dispensati durante le fasi di lavoro, l’esperienza va dall’estrazione del colore ai processi di tintura a caldo.
Filati già tinti mostrano colori dolci e vivaci, dall’arancio carico al violetto, dai verdi e bruni ai gialli accesi, tipici del metodo utilizzato, sempre abbinati alle piante tintorie utilizzate.









Feldenkrais                                                                                                 
a cura di Fatima Congiu, Nuoro

Sempre accolti dal morbido prato abbiamo lavorato sul filo invisibile della vita: il respiro.
Fatima Congiu di Nuoro ci ha guidato alla consapevolezza dei fili del corpo: l’insegnante di Feldenkrais, una rieducazione neuromotoria, ci ha proposto una sessione di C.A.M. (Conoscersi Attraverso il Movimento).
La dolcezza dei movimenti e l’attenzione al respiro nel corpo hanno magicamente riportato il rilassamento, la scioltezza dei movimenti e la lucidità mentale per godere degli eventi del pomeriggio.



Teo-Filosofia                                                                                                                 
a cura di Srinivas e Padema Tripathi (Ass. Cult. Italiaindiana Onlus), Telti

L’introduzione al percorso del filo è stata regalata dal Maestro indiano e Teo-filosofo Srinivas Tripathi dell’Ass. Cult. Italiaindiana Onlus di Telti, riflettendo sui fili necessari alla vita, dai materiali e visibili fino agli invisibili quali quelli che ci legano all’ambiente: non solo i frutti o l’ombra, ma anche l’ossigeno indispensabile alla respirazione è donato dalle piante!
L’unione di tanti fili genera un filo più forte.
Interessante il pensiero che riguarda l’interno del corpo, alle due energie provenienti da noi, una terza ci raggiunge dall’alto, Ingla, Pingla e Susumna come vengono chiamate nello Yoga, dandoci la possibilità di connettere tanti altri fili quali i nervi, il sistema sanguigno ecc., così come per disegnare un fiore sul tessuto e dargli bellezza serve un terzo filo oltre la trama e l’ordito.










Poesia Improvvisata                                                                                                 
a cura di Antonio Maria Giua, Tempio

Un contributo in forma di video ci ha restituito l’idea di come si intessono le parole nella poesia improvvisata in un lavoro di uno degli ultimi Poeti Improvvisatori della Gallura: Antonio Maria Giua, residente a Tempio, ma originario della zona di Telti.
Rime alternate e baciate ne sono la caratteristica e la complessità, ormai difficili da tramandare, sia perché il gallurese non viene più parlato, sia per la mancanza di maestri: uno dei fili che si sta per spezzare con la nostra cultura tradizionale.













Canto Sardo a Chitarra                                                                                             
a cura di Giovanni Puggioni e Maria Erminia Satta, Tempio

Il celebre musicista, direttore di più cori nella sua zona, Giovanni Puggioni e la moglie Maria Erminia Satta hanno illustrato il filo tra le parole e la musica del Canto a Chitarra nella tradizione sarda.
Con un articolato lavoro di spiegazioni e raccolta di pezzi che fanno parte della storia della musica sarda, la chiesa di S. Pietro di Ruda si è trasformata nella location ideale per il sapore profondo che i testi, la voce e la chitarra ci hanno offerto.
Fili negli strumenti, nei testi, nelle interpretazioni preziose, cerchi di balli, cuori e canti, il tutto fino a tarda sera con una ripresa dopo il filo dell’arte contemporanea.










Arte Contemporanea                                                                                               
a cura di Susanna Sabiu, San Giovanni Suergiu (CI)

Acqua, Vento e Terra, argomenti che sono stati oggetto di tutti i nostri festival precedenti e di cui abbiamo voluto chiudere il cerchio o tirare il filo che li unisce, sono anche gli elementi di “Abbabentuterra”, la performance mix-media dell'artista Susanna Sabiu, sul filo e col filo.
Un lavoro che lega la maestria di Chiara Vigo, ispiratrice di questo festival e depositaria della tradizione del filo che ci lega all’acqua - quello del Bisso Marino, il più antico, centrale nel manifesto a simboleggiare i Maestri - all’esperienza artistica di Maria Lai e Pinuccio Sciola.
Audio, video e uso del corpo su una mappa tessuta, svolta sulla scena nel compimento dell’azione, sono gli elementi espressivi.













Omaggio a Maria Lai

“Legarsi alla montagna”

I nostri soci hanno potuto assistere alla proiezione del video sull’opera comunitaria, ideata da Maria Lai per il Comune di Ulassai, che ha visto un intero paese legarsi alla montagna che lo sovrasta con un nastro azzurro lungo 26 km., simile a quello che sventolava in una giornata piovosa di una antica leggenda del luogo.
Nella storia, è stato seguire quel nastro a salvare una bambina dal crollo della caverna in cui si era riparata.
Opera nell’opera, emblematica è l’imprevista e necessaria realizzazione di questo nastro - quello dell’arte contemporanea, a destra sul manifesto - prodotto da pezze azzurre smembrate in striscie da tutto il paese che, con la stessa partecipazione unitaria, portò a compimento l’opera “Legarsi alla montagna”.
Un sentito ringraziamento a Maria Lai per averci restituito un filo così emozionante.



















Si segnala per il filo della tessitura il Meoc Museo Etnografico di Aggius,
info:                 www.museomeoc.com      tel. 079-621029




mercoledì 18 gennaio 2012

medicina popolare sarda

Appunti sulla medicina popolare sarda

tra le pieghe di antichi saperi



E la comunità diventava una "farmacia collettiva" a base di erbe officinali


di Nando Cossu





Per meglio capire il sistema della medicina popolare in Sardegna è opportuno premettere una

breve descrizione della struttura economica e sociale all'interno della quale questo sistema operava.

Fino ai primi anni cinquanta, agricoltura e allevamento erano le attività principali delle nostre

comunità e arrivavano a comprendere anche 1'80% della popolazione attiva.

Le altre attività, che pure erano presenti, avevano un carattere complementare e operavano soprattutto in funzione dell'agricoltura e dell'allevamento. In questo tipo di comunità il bene più prezioso era il grano, sia per la sua funzione insostituibile nell'ambito dell'alimentazione quotidiana, sia come mercé di scambio per l'acquisizione di altri prodotti o servizi.



Scapolare da portare al collo a contatto con la carne per la prevenzione delle malattie.


La povertà era una condizione diffusa e in molti casi si trattava di vera e propria indigenza, tanto che non erano poche le famiglie per le quali avere anche solo il pane sicuro, a costo di grandi sacrifici, era una fortuna. Capitava anche che quei fortunati che avevano il pane talvolta non avessero di che accompagnarlo e allora si arrangiavano raccogliendo in compagna quanto l'ambiente circostante offriva. La povertà diffusa esigeva l'impegno di tutti, maschi e femmine, piccoli e grandi, per mettere assieme il necessario per la sopravvivenza della famiglia, per questo succedeva che talvolta si cominciasse a lavorare fin dall'età di 6-7 anni. In questa economia di sussistenza non era certamente marginale il contributo delle donne, mandate a custodire il bestiame fin da bambine, oppure a fare le domestiche appena adolescenti e al lavoro dei campi, senza contare tutte le fatiche per accudire la famiglia. Il primo contesto che rifletteva questa condizione di vita era l'abitazione.

Costruite in mattoni crudi o in pietra, le case erano in genere piccole, il tetto in canniciata e i

pavimenti in terra battuta, costituita in realtà da un impasto di argilla, paglia e sterco di bue. Mancavano l'acqua potabile e la corrente elettrica, l'unica fonte di riscaldamento era il camino, chi poteva aveva anche qualche braciere.

Non disponendo di acqua, tanto meno acqua calda, l'igiene quotidiana della persona non andava al di là di una rinfrescata al viso, il bagno (dentro una bagnarola) era qualcosa di riservato alle donne più fortunate, che lo facevano in genere una volta al mese, mentre per i maschi l'occasione per qualche bagno si presentava d'estate, al fiume, in mare, in casa con l'acqua del pozzo. I servizi per fare i bisogni spesso erano all'aperto in un angolo appartato del cortile, le famiglie più fortunate disponevano di una casupola con un pozzo nero, sempre nel cortile.

Ma la povertà poteva leggersi facilmente anche sulle stesse persone: la gente vestiva in modo essenziale, difficilmente si poteva disporre di capi di vestiario come il cappotto e la maggior parte della povera gente si copriva con su saccu, una sorta di coperta doppia di orbace usata anche come giaciglio.

L'uso quotidiano delle scarpe era un lusso di pochi, quando non servivano per andare in campagna a lavorare, ma c'era chi si recava scalzo anche al lavoro.

Infine, anche l'alimentazione risentiva di questa condizione di indigenza. I pasti potevano essere da tré a quattro al giorno: colazione, spuntino di metà mattina, pranzo e cena.

Però, ciò che bisogna prendere in considerazione non è tanto il numero dei pasti quanto quel che si consumava. Nell'alimentazione della povera gente, dopo il pane gli alimenti più usuali erano i legumi e le patate durante la settimana, mentre la domenica chi poteva preparava un po' di pasta. Il consumo della carne difficilmente andava oltre una volta la settimana in quantità, spesso, piuttosto ridotta.

A questo proposito, tra le famiglie più povere era diffusa l'abitudine di cibarsi della carne di quei capi di bestiame (cavalli e buoi soprattutto) che morivano in seguito al carbonchio e che venivano abbandonati in campagna.



Sia. Pinza in lentischio con cui si fermava il sangue nelle vene incise per il salasso.



Chiave maschio inferro utilizzata per cauterizzare la pustola del carbonchio.


In un contesto siffatto, gli individui vivevano in un rapporto quotidiano con la precarietà, che

investiva tutti gli aspetti della loro esistenza, fino alla sfera dell'intelletto, del pensiero, stimolando

la ricerca di un conforto e di una giustificazione a quella condizione.

E per molti, per quasi tutti, la ragione di quella condizione era da riporre nella imperscrutabile volontà divina, a cui venivano fatti risalire anche lo stato di salute e di malattia, intendendo la prima come un dono che Dio faceva agli uomini, secondo criteri per loro inaccessibili, e la seconda come una punizione divina per colpe non espiate secondo le modalità della giustizia terrena. Queste argomentazioni di carattere religioso costituiscono un aspetto importante del sostrato ideologico su cui poggiava anche il sapere medico del mondo agropastorale.

Proprio nella religione venivano poste le ragioni ultime di tutto ciò che non fosse spiegabile con gli strumenti culturali di cui la società agropastorale disponeva, comprendendo fra questi strumenti anche le diverse ideologie magiche.

Ma vi era, nel sapere medico tradizionale, anche una dimensione empirica, che era in ultima analisi quella con la quale si aveva più dimestichezza, per il rapporto stretto che essa aveva proprio con le vicende della vita quotidiana. Così, per quanto riguarda le cause delle malattie, al di là della ragione ultima di esse riposta nella religione, vi erano diversi fattori scatenanti la cui connotazione era esclusivamente empirica.

Una delle cause di malattia, fra le più diffuse e pericolose, era su scallentamentu, che consisteva in un eccesso di riscaldamento del corpo, dovuto ad uno sforzo fisico eccessivo, una lunga corsa ecc.. Era pericoloso esporsi a lungo al sole nel mese di marzo, mentre nel corso dell'estate il sole esercitava sull'organismo un'azione benefica in quanto attraverso il sudore provocato dal caldo veniva espulsa s'aqua maba, cioè quelle che noi oggi chiamiamo le tossine.

Anche l'aria, quando perdeva la sua purezza, era considerata veicolo di malattie diverse, persino molto gravi, così come malattie poteva portare la tramontana a causa dei suoi rigori e i venti d'Africa per evidenti ragioni opposte, mentre il maestrale era considerato apportatore di salute.

In questa dimensione empirica del sapere medico popolare, il fattore che più di tutti incide sulle condizioni fisiche di un individuo è il sangue.

Sotto questo profilo, tutti gli individui erano compresi in tré grandi categorie: gli individui di sangue forte, quelli di sangue debole e quelli di sangue dolce; l'appartenenza a questa o quella categoria era cosa che si poteva distinguere già dall'infanzia o dalla prima adolescenza.

Secondo il pensiero medico popolare, il sangue ha bisogno dopo un certo periodo di liberarsi di

tutte le impurità che in esso si formano per via di un'alimentazione sbagliata, l'aria malsana, le tensioni.

Questo bisogno di espulsione delle impurità costituisce il concetto di sfogo del sangue, e una manifestazione concreta di questo sfogo era costituito dai foruncoli. Questi, grazie alla loro funzione di sfogo, preservavano l'organismo da mali peggiori.

Dopo i lavori della stagione estiva, vi era la consuetudine di rinfrescare il sangue, attraverso l'assunzione di un purgante (il più delle volte si usava il sale inglese), per depurarlo e prevenire malattie pericolose. Era molto diffusa anche la consuetudine di cambiare il sangue una volta l'anno, attraverso il salasso, praticato da qualche flebotomo oppure attraverso l'applicazione di sanguisughe.




Olio di grano appena prodotto, visibile sull 'incudine e

sul dito.


Sulla base delle cose appena dette, si può capire meglio la dinamica della pratica medica nel mondo agropastorale.

Intanto va detto subito che la gestione della malattia avveniva secondo un meccanismo complesso e ricco di opportunità in favore del malato. Tale meccanismo si manifesta già fin dal momento della diagnosi che, ad un osservatore superficiale sembrerebbe lasciata al caso, mentre in realtà si dispone di diversi livelli di effettuazione, dallo stesso individuo malato fino al guaritore più esperto, a seconda delle esperienze che ciascuna delle figure coinvolte ha maturato.

Il luogo di lavoro, la bottega, la fontana, anche il posto più impensato poteva rivelarsi un'occasione

di incontro con qualcuno che aveva già avuto esperienza di un determinato male e che forniva

la diagnosi al malato o ad un suo parente. Addirittura più ricco di opportunità era il momento

della cura. Quasi sempre i disturbi occasionali di lieve entità venivano curati in famiglia, perché

diffìcilmente in un nucleo familiare mancava qualcuno che avesse conoscenza di quei rimedi praticati per una indigestione, una normale influenza, un foruncolo ecc.. All'interno della famiglia erano in prevalenza le donne a praticare questi interventi.

Quando non si disponeva del rimedio in famiglia, vi era sempre l'opportunità di ricorrere a terze persone, più o meno esperte. E non era necessario mandarle a chiamare o recarsi da loro.

Se in una famiglia c'era qualcuno che stava male e uno dei familiari usciva, incontrava qualcuno a

cui confidava la sua preoccupazione, poteva accadere che questa persona le suggerisse immediatamente chi poteva curare quella determinata malattia. Ancora più facile era ricevere indicazioni sui guaritori nel caso di qualcuno il cui male fosse visibile, come eczemi e altre malattie della pelle. Era rilevante anche il ruolo che amici e vicinato avevano nel fase della ricerca della terapia.

Diffìcilmente si restava indifferenti quando si veniva a sapere di qualche vicino che stava male, così come ci si adoperava di fronte alla malattia che avesse colpito un amico, cercando in ogni contesto consigli e indicazioni che potessero condurre alla terapia.

Nell'ambito della medicina popolare, chiunque avesse una competenza sia pure minima, poteva

al momento opportuno esercitarla, cioè metterla a disposizione della comunità, vestendo per quella circostanza i panni dell'esperto. La considerazione che ne consegue è che la pratica medica

empirica non era appannaggio di un qualche gruppo ristretto di persone, ma era un comportamento

diffuso, non senza una distinzione dei livelli diversi di competenza.

Al di là di coloro che operavano esclusivamente all'interno della famiglia per le piccole patologie, erano presenti nel mondo agropastorale figure a cui la comunità attribuiva un ruolo specifico nell'ambito della pratica medica. Una di queste figure è quella che veniva comunemente chiamata, nelle zone a dialetto campidanese, sa meìga; nei confronti di questa donna esperta si aveva un atteggiamento di grande considerazione, così come si dava una grande importanza al suo operato e talvolta anche alla sua parola. Gli elementi determinanti perché una donna esperta venisse considerata meìga erano: una competenza indiscussa nella cura di qualche malattia particolare (scrofolosi, fuoco di sant'Antonio, emorroidi ecc..), o addirittura malattie ritenute gravi e difficili da curare; il possesso di qualche ricetta esclusiva; una lunga tradizione di famiglia oppure l'opinione diffusa che la competenza provenisse da una qualche forma di rivelazione, attraverso un sogno, un santo, una spiridada; l'esercizio della pratica medica come prassi quotidiana o comunque come fatto molto frequente; un bacino di utenza molto più esteso del paese di residenza; infine sa meìga era l'unica figura, assieme a quella corrispondente maschile (il flebotomo), a cui fosse consentito chiedere compensi anche in denaro.

La gamma delle opportunità, per il malato, non si esauriva con queste due figure (donna esperta e

flebotomo). In una dimensione distinta, e spesso anche come ultima speranza, operava la figura della spiridada o speziada, una figura di guaritrice di cui si diceva che avesse ricevuto i suoi poteri

taumaturgici direttamente dal diavolo o da qualche altro essere malefico.

Ritengo opportuno, una volta descritte le figure degli operatori, riprendere quel concetto della

medicina popolare come comportamento diffuso, per vedere come questa caratteristica si presentasse anche nella acquisizione degli elementi necessari per la cura e che nel mio lavoro ho definito "la farmacia collettiva".

Nell'ambito della gestione della malattia, particolarmente delicato e importante era il momento della acquisizione di tutto un complesso di erbe ed elementi necessari per l'effettuazione della terapia. Per giungere ad una risoluzione adeguata di questo aspetto, all'intemo della comunità ciascuno si ritagliava un proprio ruolo, in modo del tutto autonomo, sulla base delle opportunità che il proprio modo di vivere gli prospettava.

Così, il falegname si preoccupava di conservare il legno tarlato con cui le mamme curavano le irritazioni nei neonati. Il sacrista, che saliva ogni giorno le scale del campanile, raccoglieva le piume della stria, notoriamente frequentatrice di quegli ambienti, con cui veniva curato chiunque restasse strìau, cioè colpito dal male provocato da questo rapace notturno.

Il fabbro costruiva gli anelli per la sciatica e l'emicrania, e preparava l'olio di grano per la cura

degli eczemi e altre malattie della pelle. Presso le famiglie dei pastori si trovava la ricotta salata,

confezionata anche per scopi terapeutici. E chi altro non poteva, cercava di inserirsi in questa

farmacia collettiva conservando la pelle di una biscia trovata in campagna, offrendosi di masticare

la ruta, nonostante i danni che provocava ai denti, per curare con l'alito impregnato dei principi

di quest'erba una malattia degli occhi.

L'elenco potrebbe essere molto lungo. A tutto questo bisogna aggiungere il fatto che negli orti e nei cortili erano presenti piante ed erbe officinali di cui poteva usufruire chiunque ne avesse avuto bisogno. Anche la chiesa era stata coinvolta in questa sorta di farmacia collettiva: da essa la comunità traeva l'incenso e i fiori benedetti per le fumigazioni terapeutiche contro lo spavento, l'acqua benedetta per la cura del malocchio, il rito della lettura del vangelo ancora contro lo spavento.




Sa brunia


Accanto alle erbe, c'era tutta una serie di materiali d'uso quotidiano, apparentemente inutili,

che venivano conservati perché all'occorrenza potevano diventare oggetti coadiuvanti in qualche

terapia. Valga per tutti l'esempio della cartastraccia, che in genere veniva conservata (e non buttata) perché unta col sego o con l'olio d'oliva caldi veniva impiegata nella cura delle malattie da raffreddamento, soprattutto nei bambini, applicandola al petto. In definitiva, nell'ambito della pratica medica empirica anche l'oggetto più impensato poteva diventare strumento di terapia, perché un principio costitutivo della prassi quotidiana nella gestione della malattia era quello di fare ricorso, adattandolo quando necessario, a tutto ciò che l'ambiente circostante offriva, intendendo con questa espressione non solo l'ambiente naturale, ma anche quello umano.


Le foto sono tratte dal Libro "La medicina popolare in Sardegna"

di Nando Cossu - Carlo Delfino Editore